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Rock or dust

Exile on Main Street, capolavoro e delirio dei Rolling Stones

La cantina era divisa in piccole stanze, la band spostava gli strumenti e gli amplificatori da una parte all’altra cercando il suono più interessante. Erano circa le due di notte, quando ciò accadeva. Alcuni amplificatori si trovavano su un piano del sotterraneo, i musicisti su un altro. Senza alcuna comunicazione con la stanza di controllo. Andy Johns, il tecnico del suono, doveva correre avanti e indietro tra il camion su cui si trovava lo studio mobile e l’interrato per comunicare con i musicisti. Fino alle 6 del mattino, all’incirca.

La storia di Exile on Main Street

exile on main street recensioneIl cliché del musicista rock che vive e suona tra alcol, droga e ragazze poco inibite, rappresenta un’immagine standard della letteratura pop. Eppure, qualcuno deve pur aver inaugurato questa galleria di luoghi che al principio erano tutt’altro che “comuni”. Esiste una linea di demarcazione, che divide quanto successe prima del 1971 da quanto sarebbe successo dopo. Nel giugno di quell’anno l’opprimente fisco britannico costrinse i Rolling Stones a fuggire dall’Inghilterra: la meta scelta fu la Francia.

Mick Jagger si stabilì a Parigi con la moglie Bianca, Keith Richards affittò una lussuosa villa in stile Belle Époque chiamata Nellcôte, a Villefranche-sur-Mer, vicino Nizza. Gli altri membri della band, si stabilirono in varie zone del sud della Francia. Dopo aver cercato senza successo uno studio di registrazione, fu deciso che il gruppo avrebbe registrato il nuovo disco nella villa di Keith.

Cene interminabili con decine di persone, centinaia di dollari spesi ogni settimana in eroina, visitatori vari, spacciatori, ragazze attratte dalla fama dei musicisti e semplici perdigiorno che affollavano la villa. Caos, droga, ladri (sarebbero scomparse almeno 11 chitarre di Keith Richards). Ma anche gente come William S. Burroughs, Terry Southern e Gram Parsons. A metà strada tra una comunità hippie e un gruppo di pazzi scatenati. Dopo la mezzanotte, un Keith Richards più vampiro che uomo decideva che era il momento di iniziare a suonare. Ogni tanto spariva ancora (per mettere a letto il figlio Marlon, dirà), per riapparire all’alba pronto di nuovo a lavorare, mentre gli altri erano ormai a pezzi.

Ricordo che uscivo barcollando dall’interrato alle sei del mattino e la luce del sole mi accecava e dovevo guidare sino a casa – raccontò Mick Taylor – penso fossero un mucchio di musicisti un po’ alterati che cercavano di fare un disco. Certamente la situazione aveva influenzato la musica, almeno a livello tecnico. Il fatto è che era un sotterraneo buio e sporco e male equipaggiato. Oggi nessuno si sognerebbe di fare un disco così”.

Eppure, quei mesi di delirio totale avrebbero partorito il disco-capolavoro dei Rolling Stones. Exile on main street, mixato poi a Los Angeles, avrebbe visto la luce il 26 maggio 1972 in Inghilterra. Subito al numero uno, sarebbe restato sedici settimane nei primi trenta: in America esce il 22 maggio, raggiunge il numero uno, rimanendo diciassette settimane in classifica. Gli Stones avevano lasciato la Francia il 29 novembre 1971, con la polizia sulle loro tracce perché “sospettava” che in quella villa si facesse uso di droga. Il 14 dicembre, i solerti gendarmi francesi fecero irruzione a Nellcote: troppo tardi.

Il rock’n’roll aveva codificato tutti i suoi cliché, e l’imprimatur aveva lo sguardo completamente perduto di un giovane cocainomane che suonava il blues, dormiva di giorno e di notte scriveva capolavori.  «Non è che sono arrogante o cose del genere. Stavo solo dormendo». Firmato, Keith Richards.

A questo indirizzo potete leggere l’intervista a Mick Jagger realizzata in occasione della ristampa dell’album Exile on Main St (che potete ascoltare qui su Spotify).

 

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