foto di Valeria Sorbino
Ve lo ricordate il manifesto del movimento femminista degli anni ’70, “tremate, tremate, le streghe son tornate”? Ecco. Ve lo dovete immaginare in musica, adesso. Perché c’è un’artista che dona le note del pentagramma alla voce delle donne che l’hanno preceduta nella lotta “per modificare il tessuto sociale e politico”. Per Stefania Tarantino, da Virginia Woolf a Lina Mangiacapre, il discorso del movimento femminista è ispirazione e canovaccio per una musica che si vuole fare rivoluzione. Lei vi dà appuntamento l’8 marzo per la presentazione del suo nuovo album, “Dove non potrò”, e per una notte di festa e di lotta.
Ma prima si racconta un po’ per noi:
Chi è Stefania Tarantino? Che musica ascolta e che musica, invece, compone?
Sono una ricercatrice di filosofia e un’attivista femminista che da sempre ha studiato e amato la musica, sia attraverso lo studio del pianoforte sia attraverso il canto. Ascolto tutta la musica e sono curiosa dei progetti sperimentali e innovativi. Dalla classica al raggae, dal blues al jazz, dalla musica d’autore a quella più commerciale. Ecco perché sono una grande ascoltatrice di radio. Per quello che riguarda il tipo di musica che faccio io, quando devo definirla, dico che è un pop acustico sperimentale. Metto in musica, rielaborandoli, i testi di alcune donne che mi colpiscono per il messaggio che lanciano e perché penso che in un paese in cui si legge poco come l’Italia, la forma canzone sia più adatta a far conoscere nell’immediatezza alcune cose che mi stanno a cuore.
Il primo disco l’hai intitolato “Incandescente”: che significato ha, questa parola, per te?
Incandescente è la parola che esprime al meglio il carattere e il discorso rivoluzionario di Virginia Woolf, una madre simbolica del femminismo europeo. Lei era una donna incandescente, poco conforme agli ordini discorsivi stabiliti e che attraverso la sua scrittura ha aperto degli spiragli importanti di libertà per le donne. Il brano s’ispira al suo libro “Le tre ghinee”.
Definisci il tuo un “progetto femminista”: che significa essere femminista nel 2019, e come può l’arte partecipare al movimento femminista?
Il femminismo sarà necessario fino a quando il parametro di riferimento della società e della politica, a tutti i suoi livelli, resterà ancorato al giudizio, alla misura e allo sguardo maschile. Il femminismo ha sempre fatto e detto le cose che andavano fatte e dette. Il grande problema è che non si dà mai voce, spazio (nei giornali, nei programmi televisivi, nelle commissioni che decidono di questo o di quell’altro) alle femministe, a tutte quelle donne (e ce ne sono tante) che lottano, studiano, scrivono, leggono e agiscono per modificare giorno dopo giorno il tessuto sociale e politico.
Cosa dobbiamo aspettarci da questo nuovo album e dalla sua presentazione, il prossimo 8 marzo?
Questo ultimo disco dal titolo “Dove non potrò” riprende una poesia di Lina Mangiacapre, fondatrice delle Nemesiache, un collettivo femminista nato nel 1970. Considero questo progetto musicale di “poetica femminista” perché ogni canzone s’ispira a un pezzo di storia passata e presente del femminismo, delle aspirazioni delle donne, della loro forza, della loro libertà e della loro sete di giustizia. Tra i brani spicca Me too che riprende, ad esempio, il movimento di denuncia contro un certo modo di fare nel mondo del cinema che poi si è esteso a macchia d’olio su molti luoghi lavorativi. La presentazione del disco si terrà, significativamente, l’8 marzo, la giornata internazionale delle donne. Una giornata politica, popolare, mondiale dove festa e lotta stanno insieme. Si festeggia per ciò che c’è già e si continua a lottare per ciò che non è ancora. La musica di Ardesia, in fondo, tiene insieme questi due aspetti di festa e di lotta.
Marzia Figliolia