Il Festival di Sanremo si porta dietro, ogni anno, una scia di discussioni e polemiche. Quello del 2019, però, sembra averlo fatto decisamente più delle ultime edizioni: a due settimane di distanza dal suo inizio, si parla ancora parecchio del Baglioni-bis. I motivi possono essere parecchi: dalle scelte musicali estremamente variegate del direttore artistico alla conduzione altalenante, passando per la sorprendente ed inaspettata vittoria di Mahmood.
A proposito, si dice sempre che il reale vincitore di Sanremo si vede qualche settimana dopo in base agli ascolti in radio e alla popolarità dei vari brani. Oggi il metro di valutazione migliore per capire il reale successo di una canzone è Spotify con la sua classifica dei brani più riprodotti del momento: i numeri dicono che a due settimane dalla loro uscita, le canzoni di Sanremo occupano le prime quattro posizioni e cinque delle prime dieci. E chi ha davvero vinto il Festival?
“Soldi” di Mahmood non ha mollato la prima posizione neanche per un attimo da quando è stata decretata la canzone vincitrice di Sanremo. È la miglior risposta alle polemiche che ancora oggi, timidamente, scatena il brano: la giuria di esperti, che è risultata decisiva per la vittoria di Mahmood, era stata bersagliata dalle critiche e accusata di non aver tenuto conto dell’opinione popolare. Difficile trovare qualcosa di più popolare e democratico delle classifiche di Spotify, di Apple Music o dei brani più trasmessi in radio, che dicono tutte la stessa cosa: Mahmood è in testa, e forse la giuria potrebbe averci visto lungo. Al secondo posto sulle piattaforme di streaming troviamo Ultimo, che conferma il suo piazzamento di Sanremo: viene spontaneo chiedersi con chi possa prendersela questa volta.
Grande successo anche per Irama, al terzo posto della classifica di Spotify con “La ragazza con il cuore di latta”, arrivata al settimo posto al Festival. Se Spotify ha ribaltato un verdetto di Sanremo è certamente quello “Senza farlo apposta” di Shade e Federica Carta, solo diciottesimi all’Ariston e costantemente intorno al podio sulle piattaforme di streaming, ora scesi leggermente e fermi al sesto posto. Rimonta per certi versi inaspettata quella dei Boomdabash, undicesimi a Sanremo e rimasti un po’ in sordina inizialmente in streaming, ma ora quarti nella “Top 50 Italy” di Spotify. Già spariti dalla circolazione Il Volo, di cui non si trova traccia. Un accenno a YouTube, che non cambia la sostanza: i video più visti del Festival sono quelli di Mahmood (21 milioni di visualizzazioni), Ultimo (12 milioni) e Shade e Federica Carta (8 milioni).
L’outsider dell’Ariston si conferma outsider anche dieci giorni dopo la fine del Festival: Loredana Bertè, quarta a Sanremo, sta continuando ad avere parecchia eco con la sua “Cosa ti aspetti da me”. Il brano è al diciassettesimo posto in classifica su Spotify, il settimo tra i brani più riprodotti del Festival: un risultato sorprendente per certi versi ma meritato per una canzone capace di piacere a tanti, giovani e meno giovani. Il brano va ancora meglio in radio: quattordicesimo pezzo più trasmesso in Italia, il quarto tra quelli sanremesi.
Per terminare, no, non ci siamo dimenticati di lui, né siamo tra quelli che vorrebbero boicottarlo, anzi: undicesimo su Spotify, ottavo su Apple Music e tredicesimo in radio, Achille Lauro con la sua “Rolls Royce” viaggia veloce. La sensazione è che alla lunga questa canzone, insieme a “Soldi”, possa farci compagnia per un bel po’, probabilmente anche arrivando fino all’estate. Curiosamente (o forse no), i due brani che hanno scatenato più polemiche.
Vedere l’accanimento mediatico contro Achille Lauro per i presunti riferimenti all’ecstasy nel suo brano dispiace, perché distoglie l’attenzione da una canzone che è forse tra le più coraggiose e sfacciate della storia di Sanremo. È un pezzo nuovo, per certi versi strano, lontanissimo dai canoni a cui siamo abituati; lui è un personaggio quanto meno particolare, dall’aria impertinente e un po’ arrogante che può piacere o meno. Divide parecchio, e non potrebbe essere altrimenti: in fondo la musica è bella perché suscita un effetto diverso in ognuno di noi.
Tuttavia, le accuse contro di lui suonano decisamente forzate, sembrano quasi un disperato e patetico tentativo di difesa di chi non vuole ammettere che la musica sta cambiando, che questo piaccia o meno. È bastato che qualcuno ipotizzasse che potesse esserci un riferimento ad una sostanza stupefacente ed ecco che “Rolls Royce” è un inno alle dipendenze e che Achille Lauro è un drogato. Come se fosse così semplice dare un’interpretazione univoca al testo di una canzone. “No, non è musica: è un Mirò”, canta Lauro: e provatelo a capire voi, il significato di un Mirò.
Alessandro Bazzanella