I signori Dockery erano proprietari terrieri della Carolina. La Guerra Civile americana li portò alla miseria, e decisero di trasferirsi a Love in Mississipi, dove nel 1865 nacque Will. Laureatosi in legge nel 1885, acquistò per circa mille dollari un’area di terra nel Delta del grande fiume, tra Yazoo Town e Sunflower River. Il terreno era fertile, Will era pieno d’iniziativa. Tagliò gli alberi, bonificò tutta la zona, e piantò il cotone che crebbe rapidamente e smisuratamente fino a ricoprire un’area di circa 104 chilometri quadrati, su cui sarebbero nate nel 1895 le Dockery Farm. C’era gran bisogno di manodopera, e sul mercato niente costava meno dei neri. Ne vennero circa duemila, a fondare una comunità la cui importanza non avrebbe avuto uguali nella storia della musica.

La schiavitù era stata abolita, ma i neri continuavano a condurre una vita da schiavi. Le leggi Jim Crow lasciarono intatta la segregazione razziale, e negli stati del Sud i linciaggi erano all’ordine del giorno. Ma a differenza di altri padroni, il signor Will consentiva ai suoi lavoratori di riunirsi di sabato o di domenica per mangiare e ascoltare musica. Le case erano piccole, e bisognava spostare fuori i mobili per consentire alla gente di entrare. Si scavavano grandi fosse per cucinare la carne di manzo, venivano giocatori d’azzardo, prostitute e musicisti. Tra alcool a fiumi, risse ed accoltellamenti, succedeva qualcosa di magico. Qui suonava il grande Charlie Patton, il primo vero bluesman della storia, e la gente faceva centinaia di chilometri per vederlo. Tra i musicisti che lo accompagnavano c’era un giovane dal fisico statuario e dalla voce imponente di nome Chester Burnett, passato alla storia come Howlin’Wolf.

Ex Buffalo Soldier, suona la chitarra, ha imparato l’armonica a bocca grazie a Sonny Boy Williamson II (assiduo corteggiatore di sua sorella Mary). Quando non suona il blues fa l’agricoltore in Arkansas. Howlin’ Wolf non è soltanto un bluesman di successo (nel suo caso già in vita, a differenza di altri), ma rappresenta il passaggio dal country-blues dell’inizio del secolo, al Chicago-blues elettrico che si sarebbe sviluppato successivamente. Quando qualcuno imbracciò per la prima volta una chitarra elettrica, e inserì il jack nell’amplificatore, diede inizio alla rivoluzione. La grande migrazione aveva portato migliaia di neri a lavorare nelle fabbriche di Chicago. La segregazione era continuata sotto altre forme, ma la Chess Records (fondata da due immigrati polacchi) dava agli artisti di colore la possibilità di arrivare ad un mercato vastissimo.

Così il blues diventa elettrico, il volume si alza, il ritmo accelera: da qui sarebbe nato il rock’n’roll, che ebbe i suoi padri in Elvis, Little Richard e Chuck Berry, poi negli anni ’60 il revival blues britannico avrebbe generato quel miscuglio esplosivo universalmente conosciuto come Rock. Ma ogni rivoluzione ha un antefatto, una scintilla che anticipa l’incendio.

Nel 1938 un giovane chitarrista 23enne era in giro per le vie malfamate di West Memphis, in Arkansas: la sua attenzione fu attirata da un gruppo di persone che suonava il blues in strada. Il cantante era un nero enorme, dalla voce potente e al tempo stesso stridula come un lupo: suonava l’armonica a bocca e la chitarra elettrica, con il cavo del piccolo amplificatore che entrava nella finestra della casa alle loro spalle. Quel cantante era Howlin’Wolf: il chitarrista 23enne era Lester William Polfuss, meglio conosciuto come Les Paul. Uno che al Rock un piccolo contributo lo avrebbe poi dato, in fondo. Howlin’Wolf sarebbe morto nel 1976: le spese del suo funerale e la costruzione dell’enorme bara lunga due metri, vennero pagate per intero da Eric Clapton.

 

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