Ci sono artisti capaci di creare un ponte tra Napoli e i suoni del mediterraneo, di bagnare nelle acque del golfo le tradizioni del mondo per dare loro nuova vita. Anime migranti, appunto, in una sperimentazione continua che non perde mai di vista le proprie radici. Lo special guest di oggi è Gennaro Della Volpe, in arte Raiz, che ha concesso un’intervista ai nostri microfoni.
“Neshama” è un album ispirato ai canti para liturgici della comunità Sefardita. Come nasce questo progetto e quanto c’è della vita di Raiz in questo album?
Della vita mia c’è tanto. Io appartengo alla comunità degli Ebrei Sefarditi, da lontano ma comunque le appartengo. È un tributo alle radici, poi mi piace molto l’idea che questa è musica che parte della tradizione mediterranea.
Io, come spesso dico, sono un napoletano ebreo: metto insieme le due cose e ci vado a nozze. Quindi in realtà si tratta di musica mediterranea, è un tributo a questa tradizione che ha un sacco di canti molto molto belli.
Un esempio è “El Adon” che, nel disco, si fonde con la melodia di “Era de maggio”…
“El Adon” è un pezzo che esiste in tantissime versioni. Io ne ho fatta una versione napoletana inedita facendola sposare con “Era de’ maggio”.
Come si è avvicinato al mondo della musica è come nasce poi il personaggio di Raiz?
Alla musica mi sono avvicinato fin da quando ero piccolo: ho sempre cantato alle recite a scuola, poi quando sono diventato più grande ho fatto le mie prime band con gli amici del liceo, poi sono arrivati gli Almamegretta e ho fatto la mia carriera musicale quasi tutta con loro.
La Sua è una musica ricca di immagini e, nel corso della Sua carriera, si è misurato anche con il mondo del cinema. Quanto ha influito il cinema sulla Sua produzione musicale e sul modo di stare sul palco di Raiz?
Consciamente o inconsciamente, avendo sempre messo in scena un personaggio, che è Raiz, in qualche modo sono sempre stato attore di me stesso. Questo mi ha dato secondo me anche la possibilità di interpretare altre parti.
Le prime cose che ho fatto nel mondo del cinema sono stati i provini su parte, perché i registi magari erano fan degli Almamegretta, mi vedevano sul palco e pensavano che avrei potuto impersonare questo o quell’altro personaggio. Adesso mi sto divertendo a cercare io questo lavoro, quindi la cosa è un po’ cambiata. Mi piacerebbe recitare di più e ci sto provando.
Il Suo legame con la Puglia non si limita solo ai Radicanto: qualche anno fa ha preso parte a “Brecht’s dance”. Vuole raccontarci un momento particolare della Sua esperienza come attore teatrale?
Il teatro di Brecht già è un teatro musicale, ma loro volevano fare una versione moderna di certe cose e una sintesi di tre opere in particolare, e quindi mi hanno chiamato per coordinare tutte queste cose e per fare l’attore.
È stato un lavoro molto bello, che mi ha dato tante opportunità di crescita. È un lavoro durato cinque anni, che è andato in giro in Italia e in Europa, siamo stati veramente fortunati. Io in particolare, siccome lavoravo con tutti professionisti del teatro, attori molto bravi, ho avuto la possibilità di imparare un sacco di cose.
Da quel momento il mio modo di stare sul palco è cambiato: il teatro ti insegna a considerare il palco una specie di cerchio magico, qualcosa di veramente diverso, molto più che una pedana dalla quale ti esibisci.
Lei ha dichiarato che l’incontro con Fausto Mesolella ha cambiato il suo modo di intendere la musica. C’è qualche ambientazione, o qualche elemento, di “Dago Red” presente anche in “Neshama”?
lo canto molto alla “me”. Ho uno stile molto personale, probabilmente molto napoletano, forse napoletanizzo le cose, bagno tutto nel mare del golfo anche se sono cose che vengono da più lontano. In definitiva, così ho fatto anche con le canzoni di “Dago Red”, che era un misto di canzoni napoletane e americane o inglesi. Non so se c’è qualcosa in Neshama di Dago Red, anche perché è stato un progetto unico e fatto con una persona unica, un artista così nasce ogni cent’anni.
Direi di no perché è proprio quel mix tra me e lui, che era molto particolare e che senza di lui non si può ricreare.
Pino Daniele, Massive Attack, Fausto Mesolella, Enzo Avitabile: la lista degli artisti che hai incontrato nel percorso della tua carriera è infinita. Se dovessimo chiederle di raccontarci brevemente tre istantanee della Sua carriera, quali sceglierebbe?
I Massive Attack sono stati una bella esperienza, perché è un gruppo molto molto in voga a Londra e il fatto di aver avuto una telefonata da parte loro perché erano interessati alla nostra musica e volevano la mia voce per un remix di un pezzo particolare, che volevano fare a Napoli, è stata una cosa molto emozionante.
Poi il lavoro con Enzo Gragnaniello, che è stato da sempre uno dei miei miti musicali napoletani. Ho interpretato il ritornello di “Misteriosamente” ed è stata una bellissima esperienza musicale e umana.
“Alta fedeltà” è il titolo di uno dei romanzi più belli di Nick Hornby. Per questo, facciamo un piccolo gioco e proviamo a indossare i panni di Rob Gordon: qual è la top 5 dei dischi che hanno avuto un significato maggiore nella Sua vita?
Diciamo Uprising di Bob Marley, Aladdin Sane di David Bowie, Exile on Main St. dei Rolling Stones, Physical Graffiti dei Led Zeppelin e What’s going on di Marvin Gaye.
Dopo musica, teatro e cinema, Le piacerebbe misurarsi con il mondo della letteratura?
Mi piacerebbe scrivere una storia, un romanzo. Magari un giorno lo farò, ma al momento, pur avendoci provato varie volte, non ho avuto forse la costanza di andare avanti o l’ispirazione giusta perché la storia si completasse da sé.