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Di Francesca Licata

Oltrepassare un qualsiasi passaggio, che sia una porta, un “pertugio” o un arco di trionfo, implica la scoperta di un luogo. Nel passato varcare la porta di una città ci metteva a stretto contatto con la vita che si respirava nelle abitazioni, nelle botteghe, nei vicoli spesso scuri ed angusti; ma varcare la soglia di un ingresso tendeva soprattutto a ricucire quella frattura fisica e culturale, che separava un territorio e così anche la sua popolazione.

Le porte che davano accesso alle città si caricavano così di significati simbolici ed avevano il compito di testimoniare la magnificenza della città, della capitale, diventando elementi decorati ed abbelliti dai migliori artisti del tempo.

Così accadde per la città di Napoli.

Molti erano i varchi che si profilavano lungo la cinta muraria che nel tempo avanzò rispetto alla zona perimetrale di prima fondazione greco-romana; e tra le tante porte cittadine e marine, alcune presero anche  il nome della famiglia nobiliare che risiedeva in una specifica zona o della strada verso cui tali porte erano aperte.

Ricostruire la storia delle porte della città di Napoli ed identificarle topograficamente risulta piuttosto complesso poiché spesso le notizie sono frammentarie e contraddittorie. Oggi le uniche porte superstiti sono : Porta Capuana, Porta Nolana  (aragonese), Porta San Gennaro e Port’Alba (del periodo vicereale).

La Napoli antica era organizzata in tre decumani (superiore, maggiore ed inferiore) ed i terminali di ogni strada corrispondevano a dei punti di accesso.

Il decumano superiore era chiuso ad oriente, presso la chiesa dei SS. Apostoli, dalla porta Carbonara (poi detta Santa Sofia), e ad occidente verso via Costantinopoli da Porta Romana.

Il decumano maggiore, via Tribunali, aveva ad oriente la Porta Campana (poi Capuana nel XV secolo) e ad  occidente Porta Puteolana (nei pressi della chiesa della Croce di Lucca).

Per il decumano inferiore (Spaccanapoli), nella zona detta Forcella, era presente la Porta Ercolanense (poi detta Furcillensis) fino alla Porta Cumana (detta poi Reale, nei pressi del largo di San Domenico Maggiore).

Nel tempo il sistema difensivo della città subì vari ampliamenti a causa delle invasioni straniere (X-XI secolo) ed un nuovo ampliamento si ebbe poi nel  periodo angioino, con Carlo II nel 1268; ed è in questo periodo che si hanno notizie della presenza di altre porte ma anche dello spostamento o della distruzione di porte già esistenti.

La città, cinta dalle mura angioine, era divenuta uno dei maggiori centri di prestigio europei ma alla fine del XIV secolo e l’inizio del XV subì una profonda decadenza,  e durante il regno di Alfonso d’Aragona la  città venne cinta da una nuova cinta muraria nel 1442 e da una cinta muraria solcata da una parte all’altra da porte e possenti torri voluta da Ferrante.

Si aveva la necessità soprattutto di allargare l’habitat urbano in seguito all’aumento demografico e con la dominazione aragonese furono progettate 4 porte: del Carmine, Nolana, Capuana e porta San Gennaro; ognuna possedeva un sigillo equestre del Re con l’epigrafe Ferdinandus Rex Nobilissimae Patriae, epigrafi poi tolte in occasione del rifacimento delle porte al tempo di Carlo V.

Con il tempo la popolazione tende ad aumentare ancor di più e poiché non sempre era agevole entrare in città dalle porte ufficiali all’inizio del 600 creano una serie di varchi abusivi che, in seguito per una specifica richiesta popolare , da “pertugi” si trasformarono in vere e proprie porte. E’ così che ad esempio nasce Port’Alba.

Il viceregno agli inizi del XVIII secolo arriva alla fine e dopo la breve dominazione austriaca inizia il regno dei Borboni che sancisce la fine delle fortificazioni e nel tempo cadono alcune delle porte che avevano scandito la storia della città.

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