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ESCLUSIVA – Qasim Rashid: “Il dialogo è il primo passo verso l’eliminazione di odio e discriminazione”

Riuscire a instaurare un rapporto con l’altro senza annullare le sue caratteristiche: era questo il fulcro dell’opera “Totalità e infinito” di Emmanuel Levinas. Sul volto dell’altro si manifesta, quotidianamente, l’infinito, e nei suoi confronti si instaura una responsabilità asimmetrica, che prescinde dalla responsabilità dell’altro nei confronti dell’io. La relazione è dunque sbilanciata, ma attenzione: l’altro vede innalzata la sua condizione, non alterata o abbassata.

In un mondo in cui muri e barriere sono sempre più alti, noi crediamo sia necessario fare un buco e aprire un piccolo spiraglio per la conoscenza.

Conoscere l’altro, far prevalere la responsabilità dell’io nei suoi confronti, costruire un ponte per una corretta comunicazione, insistere sul foco comune per un corretto ecumenismo di tutte le religioni e culture. La soluzione è rappresentata dalla conoscenza reciproca. È per questo che lo special guest di oggi è Qasim Rashid, esperto di diritti umani e avvocato della Ahmadiyya Muslim Community in America.

“Re-Sight Islam” è il tuo ultimo podcast. Quand’è importante il dialogo nella battaglia contro il razzimo, la xenophobia, l’intolleranza e la violenza?

Il dialogo è certamente il primo passo verso l’eliminazione di qualunque forma di odio e discriminazione. La mia Speranza è che attraverso Re-Sight Islam podcast noi si possa indicare ad amici di tutte le confessioni religiose una via per apprendere qualcosa riguardo l’Islam in un modo avvincente e confortevele. Invece che limitarci a ripetere il sapere accademico, cerchiamo di catturare l’ascoltatore con una narrativa che si basi sui fatti, sulla storia, e che sia accurata. Fin’ora, il podcast è stato accolto in maniera molto favorevole ed è stato al #1 tra i podcast a tema islamico su iTunes per quasi l’intero mese di agosto. Speriamo che anche I vostri lettori si uniscano a noi su iTunes, Podbean, Google Play, o Stitcher. È possibile seguirci anche su Twitter: @ReSightIslam.

In “The wrong kind of Muslim” parli di storie di gente imprigionata, torturata, martirizzata per la propria fede. C’è una storia in particolare di cui vuoi brevemente parlarci?

Il libro parla di come la nostra comunità stia ripudiando ogni forma di estremismo, e si stia battendo per il riconoscimento dell’uguaglianza di tutte le confessioni religiose, dai Musulmani ai Cristiani, Hindu, Sikh, Ebrei… e atei. Il tema centrale ruota attorno all’ottimismo e alla speranza che domani sia un giorno migliore, a patto che restiamo uniti contro l’estremismo e l’odio. Questo è il messaggio di Sua Santità il Califfo dell’Islam, Mirza Masroor Ahmad, che è il capo spirituale della comunità musulmana Ahmadiyya nel mondo. Il libro parla della convinzione nelle parole del Califfo, quando dice che la battaglia per i diritti degli altri può solo portare ad un mondo migliore per tutti.

“Jihad” non significa “terrorismo”, nè “violenza”: qual è il vero senso di questa parola, e quali sono le principali differenze con il suo falso significato?

La parola Jihad significa lottare, e la più grande Jihad è la lotta contro la propria tentazione di commettere il male. Il Profeta Maometto insegna che la vera battaglia è quella per la promozione della pace, della bontà, della giustizia. La nostra campagna True Islam education (trueislam.com) raccoglie il vero senso della parola Jihad e spiega come i terroristi abbiano manipolato questa parola per i loro vani desideri. Vi raccomando di cliccare sul link per leggere voi stessi!


Hai seguito le ultime vicende relative al panorama politico italiano, soprattutto sui temi dell’immigrazione? Ci vedi qualche somiglianza con quello che sta accadendo nell’America di Trump? C’è un trend che va diffondendosi su scala mondiale, secondo te?

Purtroppo, il nazionalismo ha preso piede in molte nazioni in tutto il mondo, portando ad un aumento dei crimini scatenati dall’odio, dal razzismo, dall’estremismo. Il Califfo dell’Islam Mirza Masroor Ahmad ha passato buona parte degli ultimi 15 anni a parlare con i leader mondiali riguardo l’insufficienza della giustizia nazionale e internazionale, e come questa lacuna rischi di portare il mondo sull’orlo di un nuovo conflitto mondiale. Il libro cardine del pensiero di Sua Santità, World Crisis and Pathway to Peace, è una lettura necessaria, per capire come riconoscere i nostri obblighi gli uni per gli altri, e come proteggerci da estremismi, violenze e ingiustizie.

Mentre le proteste diventano all’ordine del giorno, in America pare si stia alzando un dibattito sul “modo giusto di protestare”: improvvisamente, le marce sembrano minacciose, le dimostrazioni nelle piazza e nell estrade passano per atti di rivolta, e persino inginocchiarsi durante l’inno nazionale è considerato offensivo. E dunque ci chiediamo: secondo te, qual è il modo giusto di protestare, per una minoranza che si sente oppressa?

Secondo il Profeta Maometto – che la pace sia con Lui -, le minoranze dovrebbero sempre stare dalla parte della giustizia, anche quando vengono trattate ingiustamente. Questo è estremamente difficile da farsi, ma molto utile nel lungo termine. L’Islam vieta la violenza contro il proprio governo o i propri connazionali. Sì, certo, è possibile difendersi, se si viene attaccati, ma in ogni caso non si ha mai giustificazione per fare violenza alla propria nazione e agli uomini che ci vivono. Proteste pacifiche contro il razzismo, l’odio e l’intolleranza sono invece pienamente in accordo con gli insegnamenti religiosi, e vanno anzi incoraggiate. L’Islam comanda a ogni Musulmano di sostenere la giustizia in ogni situazione, anche se ciò va contro sé stessi o la propria famiglia. Perciò, laddove esistono ingiustizie, i Musulmani sono chiamati ad affermare fermamente la loro protesta, in maniera pacifica e con fiducia in Dio.

Storicamente, sembra che quanto le religioni monoteiste abbiano più in commune sia un trattamento ineguale della donna – prendiamo ad esempio l’hijab, un costume largamente rispettato dalle donne Musulmane: da uomo, come credi sia possibile conciliare tradizioni religiose secolari con le necessità del moderno femminismo?

Per essere chiari, questa domanda andrebbe fatta alle donne Musulmane. Le donne Musulmane non hanno bisogno che un uomo parli per loro. Per cui vi incoraggio a rivolgere questa domanda anche a loro, alle donne di religione islamica.

Per quanto riguarda l’hijab, c’è un fraintendimento di fondo, e sta nel fatto che si pensi che sia riservato alle sole donne: in realtà, il Corano si rivolge prima di tutto agli uomini, quando chiede loro di osservare l’hijab che non gli permetta di guardare o toccare una donna che non sia la loro moglie – e anche in quel caso, solo con il loro consenso, senza mai tollerare che le donne siano maltrattate. Una volta terminato il discorso riguardo gli uomini, il Corano richiede anche alle donne di portare un abbigliamento adeguato.

Il Califfo dell’Islam ha tenuto una conferenza, ultimamente, ammonendo: “Gli insegnamenti islamici sono chiarissimi riguardo il fatto che le donne non sono in niente inferiori agli uomini. Difatti, quando il Corano parla di “uomini credenti”, subito aggiunge “e donne credenti”. Questa è la vera uguaglianza. Se vogliamo comparare lo status delle donne della religione islamica e nelle altre religioni, è come la notte e il giorno”.

E quindi, non è la religione musulmana il problema, ma la distorsione che ne fanno alcuni Musulmani che opprimono le proprie donne. Al contrario, il Califfo dell’Islam ha messo per iscritto che uomini e donne sono uguali agli occhi di Dio, del Corano e del Profeta Maometto. E questo è il modello su cui dobbiamo basarci e seguire.

A Qasim Rashid va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it

Intervista a cura di Corrado Parlati e Marzia Figliolia

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