Era il 9 ottobre del 1984, e Steve Jobs stava recandosi alla festa di compleanno di un bimbo di nove anni.
Era stato invitato solo qualche ora prima dal giornalista David Scheff, che stava tracciando il profilo del fondatore della Apple Computer per conto della rivista Playboy. Jobs non era certo la personalità più importante presente a quella festa, tuttavia: tra gli invitati spiccavano i nomi di Walter Cronkite, Andy Warhol, Keith Haring, Louise Nevelson, John Cage… e poi Yoko Ono, ovviamente, la madre del festeggiato!
Nonostante l’invito all’ultimo momento, Jobs riuscì anche a procurarsi un pensierino per il piccolo Sean Lennon. Un paio d’ore dopo l’inizio della festicciola, quando ormai torta e dolciumi erano stati serviti, scattò l’ora di aprire i regali.
Quello di Jobs era, e non poteva essere altrimenti, un Computer Macintosh. Era stato lanciato sul mercato solo nel gennaio di quell’anno, l’ultimo grido in fatto di personal computer progettati dalla Apple. Steve collegò il macchinario nella stanzetta di Sean e, seduti sul pavimento, gli insegnò come usare il mouse aprendo il programma MacPaint.
Un paio degli ospiti “adulti” sbirciarono nella stanza: tra loro, Andy Warhol e Keith Haring. Warhol non gettò che un’occhiata alla schermata del computer, prima di girarsi pieno di meraviglia verso Haring: “E questo, cos’è? Guarda, Keith… E’ incredibile!”. Qualche minuto dopo eccolo, Andy Warhol, che spia Steve Jobs da dietro una spalla e ad un tratto gli chiede con tutta l’innocenza dell’adulto di fronte un trucco di magia che non riesce a spiegarsi: posso?
Jobs provò a spiegargli il corretto funzionamento del puntatore, ma l’artista semplicemente sollevò il mouse dal pavimento e cominciò a muoverlo per aria, fino a che Jobs non mise una mano sulla sua e la riportò lungo l’asse del pavimento, mostrandogli come effettivamente si controllava un mouse.
Dopo alcuni minuti di concentratissimo silenzio, Warhol guardò su: “Guarda, Keith! Ho disegnato un cerchio!”
Quella notte, Warhol registrò l’episodio nel suo diario: scrisse che, dopo la piccola dimostrazione, aveva guardato quell’uomo che gli aveva mostrato come disegnare un cerchio su uno schermo e gli aveva detto: “Sai, sono mesi che un tizio mi chiama cercando di vendermi quest’affare, non gli ho mai dato corda!”. “Lo so, ero io. Molto piacere, sono Steve Jobs!”.
Rimasto estremamente affascinato dalle potenzialità che credeva il computer potesse esprimere nel mondo dell’arte Warhol acconsentì, nel 1985, a diventare ambasciatore… per il rivale della Apple Computer, la Commodore! Questo perché il nuovo sistema operativo Commodore, l’Amiga 1000, permetteva di vedere in display più di 4000 colori, laddove il Macintosh funzionava ancora solo su scala di grigi.
Quello stesso anno, durante la presentazione dell’Amiga 1000 al Lincoln Center, Warhol utilizzò il programma ProPaint per disegnare un ritratto della cantante dei Blondie, Debbie Harry, mandando in visibilio il pubblico di amanti della nuova tecnologia.
In quel pezzetto di diario in cui Warhol raccontò del suo incontro con Steve Jobs, l’artista aveva scritto: “Mi sono sentito così vecchio e fuori dal mondo, guardando quel giovane talento così a suo agio vicino quella macchina che aveva contribuito ad inventare. Come un pesce fuor d’acqua”.
Eppure, Warhol recuperò presto, lasciando più di 40 floppy disk in cui aveva salvato i suoi esperimenti di computer art, a lungo rimasti negli scantinati dell’Andy Warhol Museum dopo la scomparsa della Commodore nel 1994, ma ora ritrovati ed esaminati, rivelando come egli sia stato l’apripista per tutta quella generazione di artisti di là da venire, che sarebbero cresciuti curvi sui loro schermi, a fare arte utilizzando MacPaint o Microsoft Paint.