Il suo album “Non canto. Non vedo. Non sento”, prodotto da Gennaro Romano dei Letti Sfatti, è stato inserito nella prestigiosa cinquina finale per la categoria “album in dialetto” del Premio Tenco. Peppe Lanzetta, però, è molto più che un cantante: ascoltando l’album emerge tutta la sua straordinaria esperienza come drammaturgo e scrittore, e i testi, grazie a un’interpretazione molto vicina alla recitazione, assumono un significato ancor più profondo.
Dai “Figli di un bronx minore” al “Mediterraneo” raccontato in “Non canto. Non vedo. Non sento”, passando per “L’isola delle femmine. 22 racconti sul femminicidio” e la sua esperienza sul set di “Spectre”, Peppe Lanzetta si racconta tra musica, libri e cinema.
“Non canto. Non vedo. Non sento”. Possiamo quasi considerarlo un libro in musica, con i testi che assumono un significato ancor più profondo grazie al fatto di essere quasi recitati più che cantati? Quanto ha influito, sulla realizzazione del disco, l’esperienza come drammaturgo e scrittore di Peppe Lanzetta?
Scrivere è un dono. Ma è anche sofferenza. Si scrivono racconti, ballate, testi per canzoni sempre solo perché si crede di poter minimamente sensibilizzare le coscienze. Quindi è un tutt’uno.
In “Songhe accussì”, il napoletano si fonde con il portoghese di Antonella Maisto. Come nasce questa canzone?
”Songhe accussì”’ è una ballata contenuta nel libro “Ridateci i sogni”, del 2002. È stato il musicista Romano che ha intuito la potenzialità del testo, coinvolgendo la Maisto, voce possente.
“Mediterraneo” è un brano che tocca un tema delicato come quello della migrazione. Cosa sente di dirci a riguardo, anche alla luce di quanto accaduto nelle ultime settimane con la chiusura dei porti? Quanto è importante il ruolo dell’arte e, soprattutto, della musica per un’integrazione vera?
”Mediterraneo” pure era contenuto nel libro, a questo punto direi profetico, “Ridateci i sogni”. Come dicevo prima, si compone per toccare corde, per comunicare disagi ma anche gioie, speranze. L’arte è un radar che certe cose te le fa vedere prima, indipendentemente da quello che poi si raccoglie. “Mediterraneo” credo rimarrà una nenia senza tempo, sopravviverà alla luce dei cambiamenti epocali di cui siamo testimoni. Mi piacerebbe che fosse usata come simbolo di qualcosa più grande di noi, che fosse ascoltata dai politici, che invece hanno solo pensato al bacino elettorale.
Napoli è sempre stata al centro dei Suoi libri, in cui l’ha raccontata partendo anche dalle periferie e dai “figli di un bronx minore”. Qual è il Suo rapporto con la città? C’è un personaggio che sente particolarmente vicino a Lei in questo senso?
Oggi vivo poco la città. Rimango nel mio Bronx, da cui non mi sono mai allontanato e di cui ho visto lo scempio in tutti sensi, da quello politico a quello mediatico. Vent’anni fa volevo aprire una cittadella della cultura a Scampia, intitolata a Pier Paolo Pasolini. Mi fu detto che lì bisognava vendere la droga. Amen.
“L’isola delle femmine. 22 racconti sul femminicidio” è un’importante testimonianza sulla totale inammissibilità del femminicidio. C’è un racconto, o un personaggio, al quale è particolarmente legato e di cui vuole parlarci?
Il primo, Viola D’amore. Anche qui, considerando che i racconti sono stati scritti una decina d’anni fa, si torna sul tasto della giusta comunicazione. Bisogna sensibilizzare le persone, uomini e donne, perché non c’è niente che sia per sempre, e quando un amore finisce bisogna saper perdere.
Nel film “007 – spectre”, Lei interpreta il personaggio di Lorenzo, e per circa due settimane è stato a Londra per la realizzazione di alcune scene. C’è un momento, legato alla realizzazione di questo film, che vuole raccontare ai nostri lettori?
La partecipazione al film “Spectre” mi ha riempito di gioia, ma mi ha anche fatto capire quanto l’ambiente artistico napoletano sia piccolo, ristretto e soprattutto accidioso. L’episodio che voglio raccontare è il sorriso di Daniel Craig quando, abbracciandomi, il primo giorno disse: “YOU GREAT!”.
Parlando di “Premio Tenco”, è impossibile non pensare al mondo dei dischi. Qual è la “top five” dei dischi che hanno influenzato particolarmente Peppe Lanzetta dal punto di vista artistico e perché?
La musica per me è stata tutto e anche di più. In tutti i sensi e qualunque tipo di musica. Ascoltavo contemporaneamente Maria Nazionale e i Pink Floyd. Nella top five metto:
“Imagine” di John Lennon
“Space oddity” di David Bowie
“Private dancer” di Mark Knofler nella versione di Tina Turner
“Let it be” dei Beatles nella versione di Aretha Franklin
“Stairway to heaven” dei Led Zeppelin
A seguire un mondo di pezzi meravigliosi.