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Tutti pazzi per il viola: breve storia del colore Pantone dell’anno

Cleopatra e Giulio Cesare ci ricoprivano i palazzi ed i loro regali corpi, Claude Monet e gli Impressionisti ne furono così ossessionati da essere etichettati come “violettomani” e la Pop Art di Andy Warhol l’ha definitivamente consacrato al pantheon dei colori più amati dell’arte: parliamo del Viola, o ancora meglio dell’Ultravioletto, incoronato proprio in questi giorni come colore dell’anno 2018 dall’autorità del colore per eccellenza, Pantone.

Da sempre associato ai concetti di potere e grandezza, l’azienda statunitense ha premiato questo colore per la sua abilità di trasmettere “originalità, ingenuità ed un pensiero visionario che punta al futuro”. E parlando di visionari, come può non tornarci in mente un altro grande artista come Prince, per sempre associato a questa sfumatura di colore grazie alla sua immortale Purple Rain.

Nel mondo dell’arte, il viola e le sue sfumature sono da sempre comunicative di uno stile unico e non convenzionale, proprio di figure di potere e genio artistico. Ma la storia del colore viola comincia in un tempo lontanissimo, nel primo millennio a.C. quando venne scoperto il pigmento poi chiamato porpora o viola di Tiro. La fonte era un piccolo mollusco chiamato Murice, e ne servivano circa 250.000 gusci per ottenere una decina di grammi del pigmento – appena appena quanto bastasse per tingere una singola toga!

La sua rarità ne determinò il successo tra gli Antichi Romani più aristocratici, primo fra tutti Giulio Cesare: lo scoprì durante una spedizione nel Palazzo Reale di Cleopatra, in Egitto. L’interno dell’ edificio era completamente dipinto di viola, viola erano le stuoie ed i divani. Al suo ritorno, dichiarò che in tutta Roma solo Cesare avrebbe potuto portare una toga tinta di viola, e nessun altro. Questa legge fu addirittura ulteriormente inasprita sotto il regno di Nerone, che prometteva la morte a chiunque avesse osato indossare lo stesso colore dell’Imperatore.

Anche i Bizantini ereditarono quest’amore per il violetto: in un ciclo musivo del 547 ritrovato nella Chiesa di San Vitale nell’odierna Ravenna, l’Imperatore Costantino rivendica il ruolo politico più alto proprio attraverso una lunga toga color porpora che lo copre dalla testa ai piedi, mentre alla sua corte sono riservate sfumature meno cariche dello stesso colore.

Ritroviamo questo viola politico, di potere, nel XVIII secolo francese: Antoine-François Callet dipingerà infatti Luigi XVI, a pochi anni dallo scoppio della Rivoluzione Francese, ammantato in un abito d’incoronazione di una profonda sfumatura prugna.

Il viola divenne molto più popolare ed utilizzato a partire dal 1856, quando il chimico William Henry Perkin scoprì casualmente una ricetta sintetica per la creazione del pigmento. Perkin denominò la sfumatura artificialmente ottenuta Malva, che divenne in breve il colore più “in” del secolo per tutto ciò riguardasse vestiti, mobili, persino collari per cani! Il giornale inglese Punch derise questa corsa al viola etichettando il fenomeno come “morbillo malva”.

Questa sorta di malattia colpì anche i più accreditati pittori in circolazione in quegli anni. In particolare Monet incasellò questo colore nella tavolozza del movimento Impressionista. Negli ultimi anni dell’ ‘800, la sua ricerca si era incentrata in particolare su come rendere sulla tela le sfumature di luci ed ombre; ebbene, gli sembrò ad un certo punto che niente come il viola sapesse restituirne la dimensionalità: “Ho finalmente scoperto il vero colore dell’atmosfera”, dichiarerà poi. “E’ viola. L’aria fresca è viola!”

Il suo entusiasmo contagiò gli altri artisti del movimento, tanto che questi si convinsero “di avere una struttura percettiva particolare, tale da permettere loro di vedere la luce ultravioletta al margine estremo dello spettro, invisibile ad altri occhi”, come scrisse più tardi Stella Paul nel suo Chromophilia: The story of color in Art.

Lungo tutto il XX secolo, molti altri artisti si sono avvicinati a questo colore per i propri dipinti, spesso controversi: Georgia O’Keefe selezionò diverse sfumature di viola per riempire i petali del suo sensualissimo Black Iris, nel 1926. Quanto valeva per gli impressionisti, valeva anche per lei: non era la forma ciò che le interessava, quanto forze molto meno percettibili: calore, malizia, vigore.

Bad-boy della pittura inglese, Francis Bacon usò ampiamente il viola nel dipingere i suoi corpi lamentosi e contorti, tra l’altro utilizzandolo per richiamare la sua vecchia simbologia di potere: particolarmente famosi sono infatti una serie di Papi in viola. Eppure, nel suo Study after Velasquez’s portrait of Pope Innocent X, il mantello ametista del Papa è segnato da una serie di marchi minacciosi, come a voler indebolire l’autorità che il colore viola conservava agli occhi del clero.

Anche l’espressionista Mark Rothko giocò con le associazioni religiose quando scelse il viola come uno dei colori utilizzati per riempire gli immensi pannelli della Rothko Chapel di Houston. Al contrario però delle figure di Bacon, il viola di Rothko venne utilizzato per il suo potere calmante e meditativo.

Negli anni ’60, colui che legherà per sempre il viola alla storia dell’arte sarà probabilmente Andy Warhol, maggior esponente della Pop Art, un movimento che fece ampio uso delle sfumature al neon del viola. Basta guardare una tela come Cow per rendersi conto dell’importanza di questo colore nel movimento.

Un’importanza così totale da spingere qualcuno a trasformarsi, letteralmente, in viola. Nel 1967 l’artista pop Isabelle Collin Dufresne cambiò legalmente il suo nome in Ultra Violet e decise di portare capelli, ombretto e rossetto viola ovunque andasse.

È stata solo l’ultima di una lunga lista di artisti che hanno accompagnato questo colore attraverso una simbologia mutaforma – dal lusso, al potere, alla sensualità e al genio – aggiungendo la propria visione personale sull’eredità di tutte quelle precedenti.

Marzia Figliolia

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