Napoli, 28 novembre 2017, tra le braccia della sirena Partenope fa ritorno Edoardo Bennato, per la tappa conclusiva nei teatri. La location, ovviamente, non poteva che essere una delle più belle: il Teatro Augusteo. Uno sguardo rapido alle vetrine dei negozi, prima di prendere posto in sala. Sono le 21.20, è ora di iniziare.

È un po’ come riprendere da dove abbiamo lasciato. È con la versione solo orchestra di “Dotti, medici e sapienti” che si chiude la prima edizione di “Burattino senza fili”, ed il concerto prende il via con le “Quattro stagioni di Vivaldi”, con il quartetto flegreo al centro della scena, rigorosamente vestito di bianco. Poi arriva il momento di entrare in scena, e la prima riflessione è sul conflitto generazionale: le cose cambiano, la tecnologia cambia, e cambia anche la morale. “Per cui gli anziani organizzano dei dibattiti, delle tavole rotonde. Il problema è che, quando si organizzano queste tavole, il rimedio che si propone, spesso, è peggio del male”. Per cui attenti, diffidate dei dotti, dei medici e dei sapienti.

“In fila per tre”, “Fantasia”, “La Fata” — una delle più belle canzoni dell’album, una fotografia di quella che spesso è la condizione della donna nella società e nella famiglia —, “Non è amore” e “Cantautore”: Bennato, accompagnato dalla sua chitarra, si inserisce alla perfezione negli schemi del Quartetto Flegreo, prima di iniziare il suo one man show con chitarra, tamburello a pedale, armonica e kazoo, composto da “Abbi dubbi” — i dubbi, quelli che paradossalmente aumentano con il passare degli anni — “Sono solo canzonette” e “Il gatto e la volpe”.

Entra in scena la band: Gennaro Porcelli e Giuseppe Scarpato alla Batteria, Arduino Lopez al basso, Roberto Perrone alla batteria. Il set inizia con “È stata tua la colpa” e prosegue con “Mangiafuoco”: la storia del burattinaio è accompagnata da un arrangiamento potentissimo, arricchito dalle fiammate delle due chitarre. Nel bel mezzo della canzone, poi, il colpo di scena: Roberto Perrone cede le cuffie e le bacchette a Giuseppe Scarpato, che lascia la chitarra per impossessarsi della batteria, mentre il batterista si porta al centro del palco per un assolo alle percussioni.

Sono passati quarantanni dalla prima apparizione di quel “burattino senza fili”, eppure i personaggi di Collodi sembrano sempre più attuali, tanto che Edoardo ha deciso di arricchire la storia con i personaggi mancanti: Lucignolo, immaginato come un PR che organizza un rave party, di cui, però non si conosce né la data né tantomeno la location; Mastro Geppetto, un mastro falegname andato in pensione un po’ di tempo fa, e soprattutto il grillo parlante. Eh già… comico, il grillo parlante.

E sulle note di “In prigione, in prigione” vi rimandiamo a un’intervista rilasciata qualche giorno fa a “Il secolo XIX”: “È per tutte le epoche. Dice Collodi in Pinocchio: “il giudice ascoltò il burattino con molta attenzione, tutte le sue disavventure e addirittura si commosse. Poi quando Pinocchio ebbe finito di raccontare, il giudice — uno scimpanzé, ndr — si rivolse a due gendarmi — due cani, ndr — e disse loro: “questo burattino è stato offeso, perseguitato e derubato, allora adesso prendetelo…e portatelo in prigione”. È una storia di più di cento anni fa. Un tempo in cui mettevano in prigione coloro che magari non avevano i mezzi per dimostrare la propria innocenza o non avevano “buone conoscenze”. È così lontano quel mondo”

Ce n’è per tutti i gusti, e infatti giunge il momento del momento acustico: si inizia a sognare con “Ogni favola è un gioco”. “E se ci credi ti basta perché poi la strada la trovi da te…”

“Sono nato a Napoli, anzi a Bagnoli, periferia industriale, tra il fumo e il rumore delle acciaierie. Sono nato in Viale Campi Flegrei 55, un numero che mi piace, che suona bene e che mi ha portato sempre fortuna e ha portato fortuna anche a tutti i miei amici del cortile, che mi seguono da sempre, perché insieme ci divertiamo. In fondo era scritto nei numeri, nel destino… pecchè a Napule 55 è ‘a musica!”. La band torna in chiave elettrica, e la storia del cantautore diventa anche l’occasione per una jam session, che rispecchia al meglio ciò che si è visto per l’intera serata: Edoardo è in forma strepitosa, la band è di livello elevatissimo, e soprattutto ogni musicista, nell’arco dello spettacolo, ha un suo spazio ben definito per mettere in mostra le proprie qualità, per contribuire a rendere il concerto un momento unico.

Siamo a Napoli, si gioca in casa quindi. Per far sì che sia una vera festa, però, non poteva certo mancare uno spazio per Joe Sarnataro, l’alter ego di Edoardo Bennato. Prima un video, poi la canzone, ma la domanda è sibillina: “sotto Viale Augusto che ci sta?”. Dopo anni e anni, purtroppo, non è possibile dare una risposta. L’unica cosa certa è che quella metropolitana per cui furono effettuati gli scavi, in realtà, non è mai entrata in funzione. Basta spostarsi di pochi metri per giungere alla casa in cui “è asciuto pazzo ‘o padrone”. “Era ‘o meglio do munno, eppure lo avete fatto andare”, il tutto accompagnato da un video con le sue migliori giocate, perché se la casa in questione è il San Paolo, ‘o Padrone, ovviamente, non può che essere Diego Armando Maradona.

E poi, ovviamente, arriva il momento di mettere Bagnoli all’asta. Chi offre di più? Edoardo canta storie come quella di Capitan Uncino, ma soprattutto racconta la sua di storia: uno dei primi personaggi conosciuti nel mondo dello spettacolo è Enzo Tortora, ed è a lui – e a Mia Martini – che è dedicata “La calunnia è un venticello”.

Sono solo canzonette, certo. Ma sono anche momenti di riflessione: “Pronti a salpare”, perché il nostro benessere non può prescindere dai problemi delle megalopoli del terzo mondo, mentre “Venderò”, eseguita in acustico con Giuseppe Scarpato, ci ricorda che “ogni cosa ha il suo prezzo, ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà!”. La conclusione è affidata a “Un giorno credi”, “Menomale che adesso non c’è Nerone” — che pacchia, vero? — e “Rinnegato”. Andare avanti sì, ma a una condizione: che si tenga sempre conto della tradizione. Accanto a me, in galleria, c’è un professore d’arte giunto a Napoli da Atlanta: mi guarda estasiato e mi ripete: “He’s a phenom”. E siamo un po’ tutti dei “Rinnegati”, altrimenti non ameremmo il rock ‘n’ roll.

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