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È arte tutto ciò che luccica – Breve storia dell’oro, dagli Antichi Egizi a Jeff Koons

Paul Valéry lo paragonò al pensiero in quanto potente agente astratto: capace di muovere montagne, aprire i cancelli dei più grandi palazzi ed estirpare i segreti dei più puri di cuore, l’oro è sempre stato valutato il metallo più prezioso dal momento della sua scoperta, avvenuta attorno al 4000 a.C. Lo si trovava rarissimamente, depositato sui letti dei fiumi, ed il suo fulgore sembrava riprodurre quello dei raggi del sole.

Troppo morbito e malleabile per farne strumenti utili alla sopravvivenza, ma anche incorruttibile e resistente all’ossidazione, gli Antichi Egizi per primi non tardarono a trovargli un uso artistico, più consono alla sua rarità e particolarità: ritrovamenti archeologici documentano l’uso dell’oro da parte dei loro fabbri a partire dal IV millennio a.C., prima ancora che si stabilisse l’uso di un alfabeto scritto. L’oro era considerato essere la pelle degli dei, ed inizialmente gli artefatti così creati erano destinato esclusivamente al Faraone, che poteva anche ordinare la costruzione di una piramide rivestita di una copertura in oro, cosicché dopo la sua morte riflettesse eternamente la benedizione del dio del sole, Ra.

L’oro come simbolo di bellezza, ma anche di potere. Si dice che l’uomo più ricco mai esistito sia stato infatti l’Imperatore dei Mali Musa Keita I, nell’Islam del primo millennio d.C, e ciò nonostante la legge musulmana vietasse di indossare molto oro in società. Questo grande Re viene infatti rappresentato nel Catalan Atlas (una raccolta di artistiche mappe spagnole del periodo medievale), con una corona d’oro in testa e una moneta tra le mani. L’oro veniva utilizzato anche per scrivere versetti e decorazioni negli antichi Qu’ran, i testi sacri della religione islamica. Vietando questa di riccorrere ad immagini figurative per uso religioso, gli artisti musulmani divennero incomparabili nel manipolare leggerissimi strati del prezioso metallo per creare intricatissime composizioni artistiche tra le pagine dei loro libri sacri.

L’uso delle foglie d’oro in ambito artistico letteralmente esplose durante il medioevo europeo, a causa del proliferare delle commissioni riguardanti l’arte sacra. Nella famosissima Maestà di Duccio, datata 1308-11, la Vergine Maria tiene in braccio un piccolo bambin Gesù su uno scintillante sfondo dorato che a tratti si confonde con l’oro delle aureole dei Santi e Devoti che li circondano. Questa pratica di unire il metallo giallo alla pittura deriva probabilmente dall’uso che se ne faceva nei mosaici di epoca precedente: le piccole tessere dorate, infatti, meglio riflettevano la luce delle candele in ambienti poco illuminati come le prime chiese: è possibile ammirarne un esempio ad Istanbul ancora oggi, nei mosaici di Heiga Sophia, composti da ben 30 milioni di tessere in oro.

In Giappone, l’uso dell’oro in ambito artistico assume sfumature anche poetiche. La pratica del kintsukuroi (letteralmente: riparare con l’oro), ha radici in una leggenda del XV secolo: si racconta infatti che un potente shogun avesse mandato in Cina una preziosa teiera rotta a cui era particolarmente affezionato, perché venisse aggiustata. Quando però i ceramisti cinesi gliela rimandarono indietro ricucita con brutti punti metallici, l’affidò ad un artigiano giapponese che pensò di diluire oro e lacca con una sostanza che avrebbe incollato insieme i pezzi della teiera, senza nasconderne le crepe, ma anzi evidenziandole. Il risultato fu talmente bello che ad oggi la parola kintsukuroi ha assunto un significato che va oltre il piano puramente materiale, e riguarda la bellezza ritrovata nelle cose (e nelle persone) danneggiate dalla vita.

Arriviamo così alla modernità ed è impossibile non nominare chi ha portato l’utilizzo dell’oro nell’arte su un altro livello: nella Vienna del XIX secolo, Gustav Klimt resuscita l’uso della foglia d’oro nei dipinti, nelle sue allegorie e nei suoi sensuali ritratti di donna. L’uso di questo metallo sembra così tornare a significare qualcosa di sacro, ma il centro di questa sacralità di sposta: non più nella santità, nella religione, ma nel corpo, nella sessualità, nell’amore romantico si trova quel brillìo di vita che l’arte deve sottolineare.

Tutt’altro uso dell’oro ne hanno fatto le avanguardie artistiche del ‘900 e gli artisti che le hanno seguite, piegando spesso in maniera irriverente ed ironica il senso “sacrale” che il metallo prezioso aveva avuto fino a quel momento. L’esempio cardine è quello di Piero Manzoni, che nella sua Merda D’Artista nel 1961 inscatolò, etichettò e firmò le sue stesse feci, prezzandole proprio sulla base del prezzo dell’oro. Il gesto fortemente provocatorio strizzava l’occhio alla comune credenza che l’artista fosse mosso da una profonda ispirazione interiore. Manzoni stesso scrisse all’amico e collega Ben Vautier: “Se i collezionisti vogliono davvero qualcosa d’intimo, di personale dell’artista, ecco, allora dovranno amare questo pezzo!”.

Ma c’è un provocatore per ogni generazioni di nuovi artisti, e quello che probabilmente ha più raccolto l’eredità di Manzoni è stato Jeff Koons, che con le sue sculture dorate ricrea icone della pop-culture o banali oggetti quotidiani, ridicolizzando così sia il concetto di “arti classiche” sia quello di superstar di cui ammantiamo le divinità di oggi, per questo motivo riprodotte da Koons in oro e in pose simili a quelle utilizzate nell’arte sacra: in Micheal Jackson and Bubbles, del 1995, lo scultore riprende una fotografia in cui the King of Pop è ritratto assieme al suo amato chimpanzee, ma interviene quel tanto da creare una composizione molto simile alla sopracitata Maestà di Duccio.

L’oro resta tra i materiali artistici uno dei più antichi, e sicuramente tra tutti l’insuperato. Perché se l’arte nel corso delle epoche si è sempre interrogata su cosa essa stessa sia, mai si è messo in dubbio l’enorme potere che l’utilizzo dell’oro ha nel sottolineare il fulcro dell’interesse degli artisti, fosse questo il potere, la spiritualità, la bellezza, l’ironia, la controversia: se luccica, è arte.

Marzia Figliolia

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