Uno, nessuno e centomila: gli artisti che hanno ingannato il mondo con i loro travestimenti
Un momento o l’altro della nostra vita, tutti abbiamo provato la bruciante tentazione di svestire i nostri panni e trasformarci in qualcun altro, calzare le scarpe di qualcuno che ammiriamo o dare forma e vita a quella parte di noi stessi che teniamo nascosta, ammaestrata, serbata dal giudizio altrui. Non si tratta di essere affetti da personalità multiple, ma del comunissimo desiderio di essere più di uno, di sondare quelle possibilità che le necessità di crescere e di inquadrarci in una vita che abbia un senso non ci hanno permesso di esplorare.
Ebbene, c’è però una categoria di persone che non sente l’esigenza di aggrapparsi alla logica un’unica vita/un’unica persona, e sono, ancora una volta, gli artisti. Da Marcel Duchamp a Beyoncé, sono tanti quelli che si sono costruiti addosso uno o più alter-ego, scambiandosi la pelle solo per poche fugaci apparizioni o addirittura per anni, una vita intera.
Marchel Duchamp, il re dell’arte concettuale, il fondatore del movimento Dada, fu uno dei primi a scandalizzare la comunità artistica facendosi fotografare da Man Ray, nel 1920, nei panni di una donna, a cui diede nome Rrose Sélavy. Gioco di parole come la maggior parte delle creazioni di Duchamp, la sua pronuncia francese suona eros, c’est la vie, da tradurre “eros, è la vita”, o arroser la vie, e cioè letteralmente “brindare alla vita”. L’artista francese firmò vari dei suoi ready-made col nome del suo alter-ego femminile, e addirittura per il suo film Anemic Cinema scelse di andare sotto il nome di Sélavy. Nel 1922, il poeta Robert Desnos le dedicò una freddura: Rrose Sélavy connaît bien le marchand du sel (“Rrose Sélavy conosce bene il mercante del sale”), in cui le parole marchand du sel ricordano molto, per suono, il nome Marcel Duchamp.
In un passato più recente, nel 2007, un artista poco conosciuto di nome Theaster Gates si presenta all’opening di Plate Convergence, una mostra dedicata ai lavori di Shoji Yamaguchi, scomparso nel 1991. Yamaguchi era noto per essere un maestro giapponese della ceramica, emigrato nel Mississippi al termine della II Guerra Mondiale. Gates, come tutti i presenti alla mostra, si aggira per le sale, ammira la bellezza e l’eleganza delle opere, saluta addirittura il figlio di Yamaguchi, e racconta ai critici di come avesse incontrato il vecchio maestro durante un viaggio nel sud degli Stati Uniti, e di come questi fosse poi diventato il suo mentore fino alla morte. Solo a fine serata Gates rivelò che si era inventato tutto, che aveva pagato un attore per interpretare il figlio di Yamaguchi e che le ceramiche esposte erano in realtà opera sua: aveva utilizzato l’alter-ego del maestro giapponese per lavorare su un medium, la ceramica, appunto, che non aveva ancora trovato posto nelle arti “alte” e per cui sentiva ci sarebbe voluto l’appoggio di una storia interessante, esotica, misteriosa.
L’anno dopo, il 2008, sarebbe stato l’anno del disvelamento di un altro famoso alter-ego: Sasha Fierce, ovvero la seconda personalità, aggressiva e sensuale, dell’ormai già famosissima pop star Beyoncé. I am… Sasha Fierce è infatti il titolo del terzo album di studio della cantante e, durante la sua promozione, fu addirittura aperto un sito web ufficiale dedicato alla Fierce, in cui veniva chiesto ai fan di chiamare o di scrivere qualcosa su di lei: che aspetto potrebbe avere, come immaginate potrebbe essere…
Sasha Fierce è stata solo una meteora nella vita di un’artista affermatasi senza ricorrere molto a trucchi o interpretazioni drammatiche della propria vita fuori e dentro i riflettori. Chi invece ha cambiato personalità come pelli di serpente, reinventandosi ad ogni nuova tappa della sua vita artistica, è stato indubbiamente David Bowie. Questo camaleonte della musica è stato tanto misterioso e inafferrabile quanto ispirato e credibile in ognuna delle sue manifestazioni: chi può dimenticare Ziggy Stardust, il primo e più famoso personaggio di Bowie, creato con l’uscita del quinto album The rise and fall of Ziggy Stardust and the spiders from Mars, nel 1972? Ziggy è presentato come una glam rock star aliena, messaggero per i giovani della terra, caratterizzato dai suoi capelli rosso fiammante, una benda sull’occhio e un make up tendente all’oro. Per citarne un altro, continuazione di Ziggy Stardust fu Alladin Sane, col suo iconico fulmine rosso e blu che segna il volto di Bowie sulla copertina dell’album omonimo, il sesto. Il nome gli scoppiò nella testa quando venne diagnosticata a suo fratello Terry una forma di schizofrenia: Alladin Sane è infatti una deformazione della frase inglese A lad insane, “un ragazzo folle”.
Gli alter-ego possono essere una necessità momentanea, un divertimento facile da scrollarsi di dosso, oppure possono prendere il sopravvento sulla persona che giace sotto di essi, dominandola per anni: è ciò che è successo negli anni ’70 all’artista Lynn Harshman Leeson. Dopo che i suoi lavori furono respinti dal Berkeley Museum, la Leeson decise che avrebbe bypassato il mondo artistico accademico, ed avrebbe portato la sua arte direttamente tra il pubblico. Fu così che decise di trasformare sé stessa nella sua opera: adottò il nome di Roberta Breitmore e le cucì addosso una storia di artista tormentata dalla sua immagine, che andava in giro pesantemente truccata, come dipinta, e che soffriva di disturbi alimentari che ne “scolpivano” il corpo. Visse così per quattro anni, dal 1974 al 1978, ottenendo perfino una patente e alcune carte di credito sotto il nome della Breitmore. Al termine dei quattro anni, una mostra di 144 pezzi tra sketches e foto tratte da telecamere di sorveglianza celebrò la sua performance, e fu chiaro che la sua creazione andava ben oltre il concetto di opera d’arte: la Leesom aveva creato un’identità.
Creare un’identità, alloggiare in una pelle, essere concretamente non una, ma cento persone diverse, portare tutte le proprie possibilità all’estremo: questo è il significato storico ed artistico dell’alter-ego. E in un tempo come quello presente, in cui l’identità assume contorni sempre più liquidi, irregolari, sfumati, anche grazie all’uso che se ne fa dei nuovi media, in un tempo così, insomma, queste performance che riportano la concretezza dell’essere sul solo sembrare al centro della scena sono quantomai attuali.
Marzia Figliolia